GIANLUCA GRIGNANI, l’intervista: «Così mi godo i miei 40 anni di rock»


foto Cristian Castelnuovo/Massimo Sestini
  • foto Cristian Castelnuovo/Massimo Sestini
foto Cristian Castelnuovo/Massimo Sestini
Arrivato ai fatidici 40 anni, 18 dei quali passati sul palco, Gianluca Grignani si ferma e conta: 11 album, una moglie, 4 figli (l’ultimo, Giona, è nato il 6 di luglio) e centinaia di fan che lo aspettano fuori dai cancelli dello stadio di Monza per il concerto di questa sera. Tutto rock e passione (e storie più o meno maledette), Grignani ha deciso di festeggiare compleanno e musica con uno spettacolo di tre ore, corde che saltano a forza di tirar fuori accordi, mentre lui intona alla notte i successi di una carriera che ha qua e là lasciato segni profondi. Ci infila persino un omaggio all’amico Lucio Dalla, una «Caruso» elettrica, suonata alla Jimi Hendrix.
Grignani, si sente come diceva Nanni Moretti «uno splendido quarantenne»?
«Beh, non sono così presuntuoso. Una volta pensavo che a 40 anni fossero tutti in giacca e cravatta e lavorassero in banca. In realtà mi ritrovo a fare il musicista, anche se mi sento simile a loro».
Ai «giacca e cravatta»?
«Sì, io sono un “working class hero”, un figlio della società operaia. Non ho finito gli studi, non sono laureato alla Bocconi, sono da giacca e cravatta in banca o da tuta in officina».
Cos’è cambiato negli anni?
«Ora per stare in forma devo andare a correre, giocare a tennis, sciare. Solo questo. I capelli ce li ho. Quasi tutti».
Ha ancora paura di perdere i capelli?
«A 40 anni i capelli si perdono un po’, ma ancora me la cavo».
Quasi metà della sua vita l’ha passata con la musica.
«La differenza con i miei coetanei è che loro hanno iniziato dieci anni dopo di me. Io avevo 22 anni, a quell’età non potevo che scrivere “Destinazione Paradiso”, e mi si diceva: “Il ragazzino che piace alle ragazzine!”».
Era vero, in fondo. Le dava così fastidio?
«Se fossi stato più furbo avrei potuto cavalcare l’onda e fare il fenomeno con le ragazzine. Eros Ramazzotti si stupiva che non lo facessi, Vasco invece mi capiva».
A un certo momento all’estero era famoso quasi quanto Eros. E poi?
«Poi non ho capito che cos’è accaduto. In Sudamerica, anzi in tre quarti del mondo, “La mia storia tra le dita” è diventata come “Volare”, altri personaggi più famosi di me, la Pausini o lo stesso Eros, non hanno una canzone così popolare».
Vasco Rossi su Facebook l’ha paragonata a John Lennon.
«Forse perché in Italia non esiste uno che fa un disco in un modo e poi un altro diverso, uno con il mio percorso. Certo, Vasco ha esagerato, io non mi sento il migliore, ma mi sembra che alcuni colleghi sono stantii, si cantano addosso, non hanno spazio per fare cose diverse».
Per fare cose diverse un anno fa era su Raidue fra i tutor di «Star Academy».
«I talent sono come Sanremo quando ci andai io: un’occasione di venir fuori per i giovani. Il problema è che alla fine l’unico talento nato in tv che mi viene in mente è Pierdavide Carone, un cantautore e non un “piacione”».
Tornerebbe a fare tv?
«Ora mi pare che alla gente i talent stiano cominciando a dar quasi fastidio, la qualità scende. Non escludo di fare ancora tv, però non credo che in questo momento sia la strada giusta per dire certe cose».
Ha mai pensato di smettere con la musica?
«Ci penso ogni giorno e ogni giorno continuo. Se devo cedere a compromessi, se devo star male quando canto sul palco, allora preferisco smettere. Ma per ora non ne ho mai avuto bisogno, anche se adesso i guadagni non sono così alti come si potrebbe credere».
Eppure «Destinazione Paradiso» ha venduto 3 milioni di copie nel mondo.
«Quei soldi non li ho visti. I guadagni dei primi dischi finiscono sempre nelle tasche dei discografici ed è quasi giusto. La gente crede che io sia ricco ma in realtà vivo con le entrate dei concerti, che reinvesto nella realizzazione di nuovi album, e con i diritti Siae. Sono un impiegato statale di lusso…».
Segui SORRISI.COM su Facebook e Twitter
Scritto da: Barbara Mosconi